Lapidi quattrocentesche alla Sforzesca di Vigevano

La Sforzesca di Vigevano, Colombarone di nord/ovest  con le lapidi murate in una foto dei primi anni del novecento.
La Sforzesca di Vigevano, Colombarone di nord/ovest con le lapidi murate in una foto dei primi anni del novecento.

A quattro chilometri dalla città di Vigevano, sulla strada che conduce a Pavia, fu edificata nel 1486 una fattoria modello, denominata “La Sforzesca”, unico insediamento agricolo del XV secolo a ricavare il proprio nome dal nobile casato del suo fondatore; Ludovico Maria Sforza detto il Moro.

“Per la qual cosa compiacendosi Lodovico del felice esito delle sue cure fece incidere su due angoli del palagio della detta villa in due tavole di marmo bianco, a caratteri d’oro due iscrizioni, composte dall’insigne letterato di quei tempi Ermolao Barbaro veneziano.”
(Memorie Istoriche della Città e Contado di Vigevano, Di Pietro Giorgio Biffignandi Buccella, Dalla Tipografiadi Vigevano, 1810, pag. 144).

L’umanista e diplomatico Ermolao Barbaro entrò in contatto con la corte sforzesca del Moro nel 1485. In quell’occasione si trovava nella città di Milano al seguito del padre Zaccaria durante una delle sue missioni diplomatiche, prima di essere nominato egli stesso ambasciatore veneziano residente in Milano, carica che ricoprì dal 1488 al 1490.
Probabilmente Ludovico conferì al Barbaro l’incarico di tesser le lodi del suo operato sotto forma di epigramma per le lapidi da apporre sul colombarone di nord/ovest della villa proprio durante quel primo soggiorno milanese quando il progetto di costruzione della Sforzesca era in fase inoltrata, ipotizzando la loro messa in opera proprio nel 1486, come riportato in una di esse, e quindi al termine della sua costruzione.

La resa in versi del ricordo individuale attraverso il medium epigrafico trae origini dal mondo classico antico, e rappresentò un punto di riferimento naturale per gli umanisti che operarono il primo recupero del patrimonio culturale classico, aprendolo alla stagione moderna. Le iscrizioni epigrafiche divennero veri e propri programmi di esposizione grafica che il potere pubblico mise in atto in particolari circostanze e in luoghi prestabiliti con finalità di carattere generalmente autoaffermativo e autocelebrativo. L’esposizione in spazi aperti, al fine di permettere una lettura di massa, condizionò necessariamente l’uso di un tipo di carattere sufficientemente grande direttamente proporzionale all’ampiezza dello spazio di scrittura.

“Ma habbino ben cura coloro che in marmo, o altre sorte di pietre le vorranno fare intagliare, di far tingere di nero diligentemente l’intaglio della Maiuscola, oueramente per più civiltà farlo mettere a oro, o conficar nell’intaglio le lettere d’ottone, acciò resti a l’occhio più leggibile l’Epitafio, e più spiccata l’integrità dello intaglio, e misura delle Maiuscole” (Giovanni Francesco Cresci, “Essemplare di più sorti lettere” – Trattato sopra le eccellentissime maiuscole romane – , pubblicato a Roma nel 1560).

Per rendere al massimo la primaria funzione dell’epigrafia espositiva si adottò, negli ultimi decenni della prima metà del quattrocento, la Capitale Epigrafica che, nei quindici anni successivi, andò a sostituire del tutto quella gotica.

Benché la materia paleografica ed epigrafica esuli dalle mie specifiche competenze, auspicando in un prossimo futuro studi più approfonditi da parte di figure competenti quali paleografi e epigrafisti, è indubbio che quanto brevemente tracciato in linea generale si adatti perfettamente alle lapidi presenti alla Sforzesca di Vigevano. Ludovico il Moro quindi non creò né si sottrasse all’uso della scrittura d’apparato per l’affermazione del proprio potere ma anzi ne adottò appieno anche il modus operandi in perfetta sintonia con gran parte della produzione coeva riconoscendo l’importanza del documento epigrafico quale testimonianza storica del proprio operato.

Non possiamo trascurare di dire che durante il restauro delle lapidi abbiamo notato una sostanziale differenza tra le due epigrafi. Innanzitutto ci aveva lasciato perplessi un così dissimile stato di conservazione. La lastra in marmo di Candoglia che data 1486, posta sulla facciata d’angolo di via G. da Camino, presentava un forte grado di erosione, disgregazione e alveolizzazione della pietra con perdita parziale della leggibilità dell’iscrizione e di alcune porzioni della cornice che corre lungo il bordo della lastra. Un degrado sicuramente dovuto a cause naturali essendo il manufatto completamento esposto a nord all’azione degli agenti atmosferici e agli sbalzi di natura igrometrica.

Lapide sulla facciata nord  su Via G. da Camino prima dei restauri
Lapide sulla facciata nord su Via G. da Camino prima dei restauri

L’epigrafe murata sulla parete della facciata rivolta a ovest, su corso Pavia, si presentava invece in discreto stato conservativo. Non si riscontrava lo stesso grado di erosione e disgregazione del marmo anche se risultavano più evidenti i segni determinati dal dilavamento dell’acqua piovana.

Lapide sulla facciata ovest  su corso Pavia prima dei restauri
Lapide sulla facciata ovest su corso Pavia prima dei restauri

Sebbene parte della responsabilità di questo dato di fatto sia facilmente imputabile alla diversa esposizione cardinale, sono osservabili alcune differenti caratteristiche formali che fanno pensare a una diversa datazione dei due manufatti.
Entrambi i testi si dispongono su sei righe con lettere in forme capitali di dimensioni e modulo omogenei. L’incisione della scritta sulla lapide rivolta a nord appare però più vibrante, meno perfetta nelle linee che compongono le lettere. Una caratteristica non dovuta a un’incertezza d’esecuzione dello scalpellino ma piuttosto a una pratica artigianale che nella sua messa in opera traccia solchi di relativa precisione. L’incisione del testo della lapide esposta a ovest si presenta invece più regolare e precisa al pari delle moderne iscrizioni su pietra.
Non solo; la raffinata cornice che corre lungo i bordi della lastra della facciata a nord, composta da listello e gola rovescia, si differenzia notevolmente dalla più semplice modanatura che incornicia la lapide sulla facciata ovest. La separazione da un piano all’altro è ottenuta dalla sagomatura di un grossolano listello che non si inserisce nella tradizione classica dei moduli architettonici ma piuttosto rispecchia le linearità essenziali riconducibili a schemi stilistici dell’arte contemporanea.
Queste seppur minime differenze formali ci hanno indotto a credere che quest’ultima lapide abbia origini più recenti, probabilmente realizzata in sostituzione di quella antica ormai degradata.
Sebbene questa sia solo una constatazione materiale, ottenuta analizzando il manufatto in fase di restauro, testimonianze storiche ci confermano il cattivo stato di conservazione delle lapidi già in epoca antica. Solo sessant’anni dopo la loro messa in opera e precisamente nel 1550, Simone del Pozzo nel suo Libro d’Estimo generale della città di Vigevano e suo territorio con cronache e notizie stor. ed elenco delle materie in esso contenute” (1) rimarcava il cattivo stato di una di esse con le lettere così consunte da non poter essere più lette.

Et a perpetua memoria dil fondatore di si amena et delecteuole Villa, uolsse (sic) si appellasse uilla Sforcesca a nome della familia sua. Fece anchor ponere sopra li anguli d una Torre, oue piu è il trascito (sic) de passagierj, e quella piu uerso la Citta, ponerli due tabelle di candido marmore; ma una d esse tauolle, ò per uicio della pietra, o per l aria, quase le littere son consumpte, che da qui a poco tempo non si potera più legere: delle quale tauolle una d esse erano le littere poste in campo d oro, ma il tempo l ha consumpto. (2)

In queste poche righe Simone del Pozzo ci fornisce un’ulteriore informazione: “….delle quale tauolle una d esse erano le littere poste in campo d oro, ma il tempo l ha consumpto.” Per la maggior parte degli studiosi questo passaggio testimonia la finitura delle lettere tramite la posa di oro zecchino nell’incisione tracciata, pratica in uso del resto come abbiamo anche visto nel passaggio riportato più sopra di Giovanni Francesco Cresci. In realtà il Cancelliere parla chiaramente di lettere poste in campo d’oro, tra l’altro per una sola delle due lapidi senza precisare quale. Gli epigrafisti chiamano “specchio” o “campo” la superficie del supporto ove si andrà ad incidere la scritta. La nostra abitudine a vedere lapidi ormai consunte ci rende difficile ipotizzare una diversa immagine delle epigrafi antiche. Eppure esse erano spesso interamente colorate o dorate, non solo il solco della scritta ma anche tutta la superficie del campo epigrafico.

Niente altro è emerso al momento a livello documentario. Interessante sarebbe verificare nel fondo Rocca-Saporiti conservato presso ASATI | Archivio Storico delle Acque e delle Terre Irrigue, sezione di Vigevano, l’eventuale presenza di documentazione che attesti la messa in opera di una nuova lapide in sostituzione di quella ammalorata.

 Lapide sulla facciata d’angolo su Via G. da Camino

Lapide sulla facciata d’angolo su Via G. da Camino dopo i restauri
Lapide sulla facciata d’angolo su Via G. da Camino dopo i restauri

LUDOVICUS MARIA, DIVI FRANCISCI SFORTIAE MEDIOLANE

SIUM DUCIS FILIUS, DIVI NEPOTIS TUTOR, ET COPIAR DUX SUPMUS

PLANICIE HANC ETERNA SITI ARETEM SUPERINDUCTA LARGE

INGENTI SUMPTU AQVA AD FERTILITATEM SUO INGENIO TRADU

XIT VILLAQVE AMENISSIMA A FUNDAMETIS ERECTA LOCUM

SIBI POSTERISQUE COMMODAVIT ANO SALUTIS MCCCCLXXXVI

Ludovico Maria, figlio del divino Francesco Sforza Duca di Milano
Tutore del divin Nipote e Comandante supremo delle Milizie per
propria sagacia rese fertile questa arida pianura perennemente assetata
col portarvi con grande spesa abbondante acqua e coll’erigere dalle
fondamenta una amenissima Villa preparò per sé e per i posteri
una piacevole dimora nell’anno di salute 1486

Particolarità:
la lapide presenta abbreviazioni e legature volute per mancanza di spazio;

1° riga; sopra la E finale di MEDIOLANE si nota una lineetta soprascritta ad abbreviazione per contrazione di MEDIOLANE(N)SIUM.

Mediolane

2° riga; nella parola COPIAR la CO è stata contratta, una sorta di legatura o nesso, inserendo la O all’interno della C.

Copiar

Nella parola SUPMUS è stata incisa una lineetta soprascritta alla P ad abbreviazione per contrazione della parola SUP(RE)MUS.

Supmus

3° riga; la parola PLANICIE presenta una lineetta soprascritta alla lettera E ad abbreviazione per troncamento di PLANICIE(M).

Plancie

Nella parola ETERNA è evidente la legatura delle lettere ET.

Eterna

La parola ARETEM presenta una lineetta soprascritta alla lettera E ad abbreviazione per contrazione di ARE(N)TEM.

Aretem

4° riga; nella parola FERTILITATEM è presente una legatura delle lettere TE.

Fertilitatem

5° riga; la parola FUNDAMETIS presenta una lineetta soprascritta alla lettera E ad abbreviazione per contrazione di FUNDAME(N)TIS.

Fundametis

Lapide sulla facciata d’angolo su Corso Pavia

Lapide sulla facciata d'angolo su Corso Pavia dopo i restauri
Lapide sulla facciata d’angolo su Corso Pavia dopo i restauri

VILIS GLEBA FUI NUNC SUM DITISSIMA TELLUS

CUR QUIA SFORTIADUM ME PIA DEXTRA COLIT

MUTATA EST FACIES MUTAVI NOMINA VILIS

DÌCEBAR DICOR NUNC EGO SFORCIACA

LITAVICUS AGROS COLIT HOS NE Q PENITET ESSE

AUCTOREM PACIS CONVENIT AGRICOLAM.

Fui vile gleba ora sono ricchissima terra
perché(?) perché la pia destra degli Sforza mi cura
mutato è l’aspetto ho cambiato nome
mi dicevano di nessun valore ora io mi chiamo Sforzesca
(il Duca) con notevoli sacrifici coltiva questi campi ma non se ne pente
a l’artefice di pace s’addice bene essere agricola.

Particolarità:

5° riga; la lettera Q presenta un tratto sulla linea discendente obliqua ad abbreviazione di QUOD.

Q Paola Mangano

Note
1) Cancelliere Simone del Pozzo, Libro d’Estimo generale della città di Vigevano e suo territorio con cronache e notizie stor. ed elenco delle materie in esso contenute 1550 Fol. 509/510/511 ret.
2) Da Alessandro Colombo “La fondazione della Villa Sforzesca secondo Simone del Pozzo e i documenti dell’Archivio Vigevanasco” in Bollettino storico-bibliografico subalpino volume II, 1897, pag. 371, 374, 375).

Bibliografia:
– A. COLOMBO, La fondazione della villa Sforzesca secondo Simone Del Pozzo e i documenti dell’Archivio vigevanasco, in « Bollettino storico.-bibliografico subalpino », I (1896, pag. 217-224, 370-379), II (1897, pag. 371-383), IV (1890, pag. 365-374), VII (1902 pag. 180-213);
– Bruno Figliuolo, Il diplomatico e il trattatista: Ermolao Barbaro ambasciatore della della Serenissima e il De ufficio legati, Guida Editore (collana Gli storici), 1999.
– Studi di Archivistica Bibliografia, Paleografia 3, “Memoria poetica e poesia della memoria La versificazione epigrafica dall’antichità all’umanesimo” a cura di Antonio Pistellato, Edizioni Ca’Foscari, 2014
– DAL CODICE AL MONUMENTO: L’EPIGRAFIA DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO, Marco Buonocore, Scriptor Latinus e Direttore “Sezione Archivi” Biblioteca Apostolica Vaticana Presidente della Pontificia Accademia Romana di Archeologia Biblioteca Apostolica Vaticana – 00120 Città del Vaticano, VELEIA, 29, 2012
– Armando Petrucci, Potere, spazi urbani, scritture esposte, proposte ed esempi, In: Culture et idéologie dans la genèse de l’État moderne. Actes de la table ronde de Rome (15-17 octobre 1984 Rome : École Française de Rome, 1985. pp. 85-97. (Publications de l’École française de Rome, 82)
– Introduzione all’epigrafia latina, Francesca Razzetti, http://www.loescher.it/mediaclassica
– Ditissima Tellus. Ville quattrocentesche tra Po e Ticino, Luisa Giordano, in Bollettino della Società pavese di storia patria (1988 gen – 1988 dic, Serie Nuova serie, Volume 40, Fascicolo 40)
– Augusto Campana, Studi epigrafici ed epigrafia nuova nel rinascimento umanistico, a cura di Armando Petrucci, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Dipartimento di Filologia Greca e Latina, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2005.
– Armando Petrucci, Breve storia della scrittura latina, Bagatto Libri, Roma 2006

Le Rime di Bernardo Bellincioni riscontrate sui manoscritti emendate e annotate da Pietro Fanfani
Bologna, Presso Gaetano Romagnoli, 1876

in
Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII, in Appendice alla Collezione di Opere inedite o rare.
Dispensa CLI Prezzo L. 9

pag. 36
EPIGRAMMA DI MESSER ERMOLAO BARBARO PER LA SFORZESCA DEL SIG. LUDOVICO.

Vilis gleba fui, modo sum ditissima tellus.

Cur? Quia Sfortiadum me pia dextra colit.

Mutata est facies: mutavi nomina: Vilis

Dicebar: dicor nunc ego Sfortiaca.

Ludovicus agros colit hos, neque poenitet: esse

Autorem pacis convenit agricolam.

pag. 37
SONETTO VII

Sterile inculto loco, arido e vile

Stato son sempre, or pingue e cultivato

Dalla pia destra Sforza, onde ho cangiato

L’oscuro volto, e sino el nome umile.

Or vil non più: Sforzesca oggi gentile.

Lodovico per me mai s’è turbato;

E se autor di pace al mondo è nato,

D’agricola conviensi aver lo stile.

Questo è il tenor de’ bei versi di sopra

Del famoso Ermolao, divo oratore

Del Veneto Senato al sesto Duca.

Laudato lui del bon Saturno l’opra,

El grato Ludovico in fargli onore

Vol che la sua fama in questo marmor luca.

 no.

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